Nicola Lotto – Si comincia così
Una telefonata
Accadde nel corso di una lunga notte chiamata lockdown. Notte per tante ragioni: un silenzio innaturale fuori, uno più lancinante dentro. Silenzio interrotto da comunicazioni talvolta surreali al cuore. O non interrotto affatto, ed era peggio.
Nel corso della lunga notte, trillò il telefono. Era Nicola Lotto, e ne fui sorpreso: ci eravamo incontrati e salutati varie volte, senza mai andare oltre piccole banalità. Stavolta però c’era un motivo per parlarci. “Sto completando il mio primo lavoro. Ho un brano in cui la voce di Edda starebbe benissimo. Pensi che si potrebbe chiederglielo…?”
In quei giorni io e Stefano Rampoldi, Edda per il mondo, eravamo in contatto quotidiano grazie a “Noio; volevam suonar.” (Contempo Records), l’album-regalo concepito da lui e Gianni Maroccolo, realizzato a costo zero grazie all’incoscienza di un manipolo di amici un po’ strambi, tra i quali io. Divisi i compiti, avevamo iniziato a lavorare. A me era toccata la copertina in cui Marok ed Edda si calano in una delle scene più famose di “Totò, Peppino e la malafemmina”. Poi avevo iniziato a costruire la comunicazione in vista della pubblicazione, quindi i contatti erano stretti.
Una luce
Il brano candidato singolo del primo mini-album di Nicola si intitolava in origine “Perdìo”. Al primo ascolto, pensai che fosse molto bello. Chiesi a Edda di ascoltarlo e considerarlo e glielo inviai. Dopo un paio di settimane, non avendo ricevuto risposta, glielo ricordai. Mi rispose che si era perso dietro ad altro e mi chiese di inviarglielo di nuovo. Pochi giorni dopo, Nicola mi avvertì che aveva radicalmente cambiato sia l’arrangiamento che il testo, e mi fece avere una seconda versione. Il nuovo titolo era “Una luce”. Con questa scusa, lo rimandai a Edda.
WhatsApp aiuta a ricostruire sequenze di eventi anche assai rapide. Era il 29 giugno, e il master andava chiuso a metà luglio. Ci vollero sette minuti dopo l’invio perché Edda mi chiedesse il testo che, naturalmente, non avevo. Un minuto dopo, in un messaggio vocale mi disse che il brano era bellissimo. Mi rimproverò: perché non glielo avevo detto prima? Sei minuti ancora, e iniziarono a piovere frasi apparentemente sconnesse. “Hai pensato che sono un parasogno, che sto in giro e intanto non ingombro? E non mi devi dedicare le canzoni che voglio detestare.” Pensai che l’avessimo perso, ma come spesso accade mi sbagliavo. Stava freneticamente stendendo il testo e, non sapendo dove scriverlo, lo stava annotando in WhatsApp e inviando a me. Poi cambiò qualche parola, ma l’idea originale giace ancora nella memoria del mio telefono.
Non so bene se su tablet o smartphone, ma la voce venne registrata pressoché subito, al volo, nuda e cruda. Venne inserita nel brano, mixata, et voilà: “Una luce” era nata.
Una copertina
Nicola nel frattempo mi aveva chiesto di pensare a una copertina per il singolo. Quella dell’album c’era già. Andai a scavare negli hard disk fino a che non ritrovai una fotografia scattata anni prima in Piemonte, nel cuore della notte. Un Luogo Alieno: una strada deserta, due file di lampioni nella nebbia. Ricordo che saranno state le tre del mattino, che non si vedeva anima viva, che mi accucciai sulla linea di mezzeria e scattai.
In retrospettiva, mi sembra di leggere moonmusic in quelle luci. Una luce calda, una fredda; una faccia visibile, una nascosta; una luna piena, una nuova; il maschile, il femminile. Comunque uno sdoppiamento, come quello tra le voci di Nicola ed Edda. Calda e grave la prima, tagliente e acuta la seconda. Sdoppiamento sanabile? Chi sa. Sono due lati dell’anima che parlano tra loro. Se si ascolteranno e capiranno, se le parole resteranno di stretta proprietà di due entità disgiunte, non è dato sapere. Quel che è certo è che alla fine, idealmente, in qualche modo tutto parla con tutto, tutto rappresenta tutto.
Ma il brano non l’avete ancora sentito? C’è un video.
Nicola Lotto feat. Edda – Una luce
Un album
In quei giorni, Nicola mi fece dono anche dei brani che non avevo ancora sentito. Il secondo, “Un cantante”, mi colpì subito. Non promette: mantiene immediatamente. “Era un uomo disgustato. Era un uomo disgustato. Era un uomo DISGUSTATO.” Sono le prime dodici parole, il concetto è chiaro. Il ritratto di un cantante che suona in un piccolo club per pochi spettatori è una scusa per narrare ben altro. Quando il protagonista “Libera la rabbia, spara, mira, spera / È un cantante senza spada, un cantante senza bandiera”, si capisce che il brano è permeato della paura e dalla difficoltà di esporsi nudi, coperti quando va bene da una vetusta chitarra. Una cosa che chiunque faccia musica conosce.
“Nelle vene” introduce un altro talento e amore dell’artista: il teatro. È una lettura ritmica introspettiva, traboccante di immagini interiori che evocano il metro dei poètes maudits, ad agitare il fantasma di David Sylvian sullo sfondo dell’armonia. Lancinanti lame sonore attraversano i passaggi strumentali, sorretti da un ritmo tribale.
“Incombe” è un brano notturno e sofferto che ruota attorno a un arpeggio ostinato, arricchito dal violoncello di Riccardo Bortolaso e dal violino di Sabrina Contiero. Nell’apertura della seconda parte, si disegna un orizzonte a cui tendere, un punto di fuga che lascia trapelare una malcelata nostalgia, per ricadere nell’arpeggio iniziale e all’isolamento dell’inizio.
Con “La felicità” si torna alla lettura, una dimensione imprescindibile per l’artista, che narra in maniera disarmante i meandri della propria memoria, nuovamente con gli archi in primo piano. Il brano sfocia in canzone elettrica, quasi un tributo affettuoso a certi accenti di Giulio Casale, artista al quale Nicola Lotto è particolarmente legato. È un momento liberatorio, di sprone verso la conquista di una felicità che non può essere semplicemente immaginata o tentata, ma va vissuta. In qualche modo.
Il finale ripropone il brano di apertura senza la voce. “Una luce” diventa così il punto di chiusura circolare dell’intero lavoro.
Un pensiero
Il pensiero finale si demoltiplica in diversi pensieri. Il primo va alla bravura di Nicola Lotto e al suo coraggio nel non compromettersi con sonorità “facili”: una prova di coerenza rara, di questi tempi.
Il secondo va all’errore di chi ripete sommessamente che non c’è più buona musica in giro. Falso, bisogna cercarla, ma esiste eccome. Piangere? Non serve a nulla.
Il terzo pensiero va al mood che attraversa il lavoro, delineato da canzoni che promettono scenari futuri di grande interesse. “Si comincia così” è un esordio tardivo. Molti artisti pubblicano ben prima di Nicola, che pure ha alle spalle anni di spettacolo. È cesellato, pensato e rifinito, ma senza leziosità. Nulla di pretenzioso, nulla di pacchiano: è una pietra preziosa, che apre una prospettiva in avanti. Serve un album intero, ora, a conferma di questa vena felice proprio perché non nasconde certe infelicità. Chi sa quali scenari musicali e poetici potrebbero aprirsi.
Se tra un anno Nicola alzasse il telefono per dirmi che ha qualcosa di pronto, ascolterò con il cuore aperto. È la verità a esigerlo, ben prima della musica. In “Si comincia così”, verità ce n’è molta: non gettiamola al vento. Procuratevi il disco, presentato al MEI di Faenza il 4 ottobre 2020 e disponibile tramite VREC Music Label a partire dal 20 novembre 2020. Non ve ne pentirete.