Una copertina per Ron
Una telefonata inaspettata
Il primo sottotitolo dell’ultimo articolo che ho scritto è “Un’intervista inaspettata”. Sì, risale a oltre tre mesi fa: i motivi per cui non è apparso nulla (tranne un pensiero, poi abbandonato, su Mark Hollis) sono molteplici ma non importanti, ora. Riprendo a scrivere perché un evento importante c’è, perlomeno per me.
Oggi è stato pubblicato “Lucio!!”, album di Ron tratto dal tour “Lucio!” conclusosi a fine gennaio, che contiene una serie di brani di Lucio Dalla interpretati da lui in duetto con altri grandi artisti italiani. La cosa mi riguarda da vicino, perché il retro di copertina contiene una fotografia mia, nata direttamente dall’intervista citata.
Forse le cose più interessanti della vita arrivano quando sono meno attese, ma è un dato di fatto che il 19 marzo non mi sarei aspettato di ricevere una chiamata da Luca Archetti, conosciuto un paio di mesi prima in occasione di un concerto di Ron a Bolzano.
Il paradosso è che non riuscii a rispondere. Stavo tenendo un corso a Bergolo, un meraviglioso borgo sperduto in mezzo all’Alta Langa, e si sa – in classe non si risponde al telefono. Trovai un messaggio in cui Luca mi chiedeva quando avrebbe potuto parlarmi, e lo richiamai. In un certo senso, non osavo sperarlo, ma immaginavo il motivo per cui mi aveva cercato. Come sempre, c’è una storia da raccontare a monte.
Garlasco, gennaio 2019
L’antefatto è già stato raccontato nel post precedente, e riguarda – appunto – un’intervista a Ron che feci a Garlasco nel mese di gennaio. Gliela chiesi senza un vero motivo, e mi rispose di sì similmente, senza una vera ragione. Ne ho scritto qui (e trovate anche il video). L’articolo però non contiene la conclusione della nostra conversazione, a intervista ormai finita.
«Ho visto che sarai a Bolzano, martedì prossimo.»
«Sì… volete venirci?» chiese a me e Laura.
«Magari, sì, sarebbe bello.»
Mi suggerì di scrivere alla sua segreteria e di farci riservare due posti. E così andò.
Posti esauriti
Il problema era che i due posti non c’erano: il concerto era sold-out. Risposi che non importava, saremmo rimasti volentieri in piedi. E aggiunsi – se vi fa piacere, scatterò qualche fotografia. Fu lì che mi vennero passati il nome e il numero di telefono di Luca. Ci sentimmo un paio d’ore prima del concerto, per metterci d’accordo. Fu lui che venne a prelevarci al bar del Teatro Cristallo di Bolzano e a farci entrare dall’ingresso degli artisti.
Sì, scattai delle fotografie, quella sera. In minima parte, mi dispiacque, perché quando lo faccio non riesco a godermi il concerto fino in fondo, e quel concerto valeva ogni attenzione. “Lucio!” è un tributo a Lucio Dalla, ma di altissimo livello: repertorio al di sopra di ogni discussione, musicisti formidabili, produzione accuratissima. Penso che nessun altro artista in Italia avrebbe potuto farlo allo stesso modo di Ron, che con Lucio ha collaborato per un tempo lunghissimo. Non una serata di cover, insomma, ma una vera e propria rivisitazione personale e intima di una ricca manciata di canzoni che hanno lasciato un segno indelebile nella musica italiana.
Fotografie, dicevo. Ve ne propongo alcune.
Il tempo di un clic
Verso metà concerto, mi stavo spostando dal fondo della sala verso il palco, in posizione centrale. Mi fermai un attimo per controllare se una fotografia scattata qualche minuto prima fosse buona così come mi era parsa nel momento in cui avevo abbassato il pulsante di scatto. Sembrava di sì.
Quando rialzai gli occhi, vidi la scena, il cui potere evocativo era enorme. Ron era sul palco da solo, seduto a un pianoforte rosso, circondato da lame di luce blu. Il microfono in cui aveva cantato fino a poco prima era vuoto, ma un fascio di luce dello stesso colore del pianoforte proveniente dall’alto lo colpiva con estrema precisione. Sopra tutto, il profilo inconfondibile di Lucio, come una presenza luminosa. Nessuna scena poteva essere più simbolica di quella.
Non potevo e non dovevo sbagliarla. Ero profondamente emozionato, ma alzai la fotocamera con tutta tranquillità, composi l’immagine secondo ciò che avevo in mente (la pensavo già quadrata) e abbassai il dito tre volte: clic, clic, clic. Non uso mai il drive, ovvero lo scatto a raffica: preferisco sbagliare da solo, grazie, e non dovermela poi prendere con una macchina fotografica iper-tecnologica che però non sa cosa stia riprendendo. Lo scatto giusto fu il primo. Gli altri due sono sostanzialmente uguali, ma l’angolo del corpo dell’artista è leggermente diverso e a me “parla” molto meno.
In quel momento, senza neppure riguardare le foto che avevo fatto, ebbi la sensazione netta che capita (se va bene) una volta sola in un concerto: “c’è”. La fotografia che racconta una storia, di solito, è una sola, unica – e non sempre la luce riesce a disegnarla sul sensore. Quando accade, per qualche motivo lo so nel momento in cui accade. “The moment it clicks”, come direbbe Joe McNally.
Il giorno dopo
Il giorno successivo mi misi a selezionare le fotografie della serata, e sì: quella che avevo sentito arrivare “c’era”.
Svettava su tutte le altre. Non feci nulla, perché non c’era nulla da fare: operai un semplice ritaglio quadrato e la stampai in grande formato. Nel tardo pomeriggio, dopo una telefonata con Luca, decisi di fare la pazzia: io e Laura salimmo in auto e guidai fino a Mestre, dove il concerto sarebbe approdato al Teatro Toniolo, per portare quella fotografia agli interessati. Quella sera, vissi il concerto da seduto, senza scattare alcuna foto, ed ebbi la conferma che si trattava di uno spettacolo tra i migliori che avessi visto negli ultimi anni.
Riuscii a mostrare la stampa a Ron solo a fine serata, e ne fu molto colpito. Disse semplicemente qualcosa come: “wow…” Con una nota curiosa: non la portò via con sé, perché il giorno dopo tutti sarebbero partiti per la Puglia e non volevano portare in giro la mia busta cartonata con il rischio di rovinare la foto. Ci accordammo che l’avrei fatta avere a Luca a tempo debito.
Ci avevo già pensato, ma sulla via del ritorno decisi che non l’avrei pubblicata. Non avevo idea se un album del tour sarebbe uscito o meno, ma pensai che se così fosse stato, quella foto avrebbe avuto una chance. Meglio tenerla nascosta, dunque. Inviai alla segreteria di Ron un link con la selezione che avevo fatto, e chiusi tutto nel mio hard disk.
19 marzo 2019
Quando Luca sollevò il telefono, rispondendo alla mia chiamata, scoprii che avevo visto giusto. Mi chiese se sarebbe stato possibile usare qualcuna delle mie foto nel libretto del CD che – lo venni a sapere in quel momento – sarebbe uscito dopo un mese circa. Certo che sì, ne sarei stato onorato. Subito menzionai “la numero 285”, ed entrambi sapevamo di quale fotografia stessi parlando. Mi scrisse il giorno dopo che l’avrebbero usata probabilmente per il retro della copertina, e poco più tempo più tardi mi arrivò il PDF con il progetto grafico – con il mio scatto in bella vista.
Orgoglio, ma anche no
Spero di essere creduto: non ho alcun desiderio di apparire. Avere una fotografia pubblicata o meno non ha mai cambiato e non cambierà mai la mia vita, credo. Certo, mi fa piacere; mi aiuta a capire se ho fatto qualcosa di buono. Se anche solo una persona si emozionerà guardando l’immagine, o deciderà di andare a vedere una delle prossime date del tour, il mio sforzo non sarà stato invano.
Ciò che mi importa davvero è un’altra cosa: mi incatena il fascino che una sequenza di eventi apparentemente sconnessi possa condensarsi in un evento finale che dura, in ultima analisi, un trecentoventesimo di secondo. Il tempo che l’otturatore si apra, che la luce colpisca il sensore dopo avere attraversato un sistema di lenti la cui lunghezza focale è 135 mm, superando un diaframma regolato a f/2,8 (“…e spera di avere messo a fuoco bene, Marco, o sei fottuto…”). Ma non avrei abbassato il dito senza quell’intervista, che non avrei mai fatto se non mi fossi recato a Garlasco a trovare i Deproducers, che non avrei mai conosciuto se una sera di quasi tre anni prima Gianni Maroccolo non mi avesse proposto di fermarmi a cena, con il quale non sarei stato in viaggio se…
The Road Goes On Forever
La catena è infinita. La strada va avanti (e indietro) senza un termine. La mia vera, unica meraviglia nasce dal trovarmi a cavalcare in maniera apparentemente immotivata situazioni da cui spesso nascono Cose che rimangono, in un modo o nell’altro. Questo ha poco a che fare con la mia volontà, con il mio ego, con la mia possibile hybris. Ma intanto, ridi e scherza, è più di mezzo secolo che accade. Tutta la vita.
Tutta la vita
A provare a dirmi che partivo,
O che partivo o che morivo.
Domani compro un bel violino
E una camicia di velluto:
E ti saluto, e ti saluto…
Poi non si parte mai, magari, e non si saluta. Però, ecco, mi sembra una bella storia: una di quelle che conosco anche troppo bene. Non posso non ringraziare Ron (e Luca, in questo caso) per avermi accolto quella sera del 22 gennaio, per avermi dato carta bianca e libertà di movimento, mentre seguivo questo mio bonario demone che mi spinge a fissare il ricordo, a congelare un momento, soprattutto se per me ha un valore.
E se tutto questo smettesse? Sempre Lucio mi dà la risposta:
Come un pallone che si è perduto
Io ti saluto, ti saluto.
Per ora saluto voi che avete letto, grazie anche a voi. Tornerò, lo prometto. Presto.
Marisa Acri
27 Aprile 2019 @ 07:13
Che dire ? Se quella sera di tanti anni fa Maurizio non avesse letto il tuo articolo su Renato
Se non ti avessi cercato subito
Se non …..
Ora non avrei letto questa meraviglia . Sei davvero un grande ! A presto. Marisa
Marco Olivotto
27 Aprile 2019 @ 15:09
Grazie, Marisa. Un saluto anche a tutti voi!
MO
Vincenzo
28 Aprile 2019 @ 12:27
Vivi cantando,e vivrai PIÙ volte
Marco Olivotto
28 Aprile 2019 @ 12:28
Quanto è vero. Grazie!
MO
ANNA
28 Aprile 2019 @ 17:03
Grazie Marco!
Leggendo di Ron, la sua musica fa parte della mia vita da molto tempo, credo di non essermi mai ritrovata così tanto come in questi due articoli; bellissima anche l’intervista a Garlasco.
Qui è l’emozione ad essere protagonista… è il cuore…
Non ero a Bolzano ma a Mestre si; oltre ad avere un ricordo meraviglioso di quel concerto, è per me emozionante conoscere come in quei giorni, in quelle sedi, abbia avuto origine con “la fotografia che racconta una storia”, la copertina posteriore di “Lucio!!”
Marco Olivotto
28 Aprile 2019 @ 19:19
Grazie, Anna. Lo scopo era proprio quello: raccontare una storia su una storia, in un certo senso.
Continuo a pensare che la narrazione possa essere importante, e mi fa piacere che possa averti ispirato un ricordo bello.
A presto!
MO
Lorenzo Graziola
16 Giugno 2019 @ 18:58
Mescolare (fondere) parole e immagini e musica è un’arte. A chi lo sa fare perché lo fa da una vita, in mente anima e mani, ave.
Marco Olivotto
16 Giugno 2019 @ 19:34
E già… tu c’eri, in quelle sere dei pallidi Ottanta, cogli LP, anche Ron, e si ascoltava e ragionava e commentava.
Ma, come diceva una canzone di quasi quegli anni: “Non c’è niente di perso e che non possa continuare.”
In fondo, ho, abbiamo gli anni del vento. E ho scritto vento, non ho scritto cento.
Ave anche a te, troviamoci.
MO