L’Era Del Cinghiale Bianco
Un duplice tributo
I tributi agli artisti scomparsi sono una questione delicata. Da un lato, hanno la funzione di ricordare l’opera di autori spesso molto amati dal pubblico; dall’altro, difficilmente riescono a proporre qualcosa di nuovo. Rileggere un repertorio non è facile, e l’operazione richiede professionalità e rispetto. Qualcuno obietta che un tributo è un’operazione nostalgica, e la nostalgia non favorisce la nascita di nuova musica. Obiezione fondata: senza neppure toccare gli artisti scomparsi, è noto che una cover band ha meno difficoltà a trovare occasioni per suonare di gruppi magari più interessanti che propongano canzoni originali. Anche se va detto che una cover in senso stretto non è una rivisitazione.
Questa riflessione nasce dal fatto che negli ultimi mesi mi sono trovato in mezzo a un’operazione di questo tipo. Ne narro i retroscena, al fine di dare luce a un’iniziativa che si è rivelata più sorprendente del previsto.
2023, agosto
Nel mese di agosto 2023, fui contattato da Mirko Sernagiotto, imprenditore e operatore culturale membro del CDA dell’Orchestra Regionale Filarmonia Veneta. Mi spiegò che l’Orchestra stava allestendo uno spettacolo-tributo a Giusto Pio, nativo di Castelfranco Veneto. Tra la fine degli anni ’70 e la metà degli anni ’80, Pio fu l’arrangiatore insieme a Franco Battiato di album che sono pietre miliari imprescindibili della musica italiana. Per citarne uno solo, La voce del padrone.
Dietro l’idea, la volontà di tributare un omaggio a un’enorme personalità musicale mancata nel 2017, il cui ruolo è spesso stato offuscato dalla straordinaria immagine di un musicista unico come Battiato. “Tutti hanno tributato omaggi a Franco, ma perché dimenticarsi di Giusto Pio?” Mirko mi stava contattando perché l’Orchestra aveva individuato in Giulio Casale l’interprete ideale per il repertorio. Una ventina di brani di Battiato-Pio sarebbero stati orchestrati per un ensemble sinfonico di oltre trenta elementi, e si dovevano mettere in scena almeno sette repliche del concerto prima della fine dell’anno: condizione necessaria per accedere a un certo contributo ministeriale. In tutta onestà, mi chiesi se la telefonata fosse uno scherzo: chiunque conosca le difficoltà di un’operazione del genere sa che iniziare a mettere in piedi un’impresa così titanica a settembre per andare in scena entro la fine di novembre rasenta la follia. Inoltre serviva una cantante, oltre a Giulio. Chi? “La scegliete voi.” Un altro passaggio delicato.
Il progetto si sarebbe intitolato “L’Era Del Cinghiale Bianco”, evidente riferimento a uno dei brani più noti di Franco Battiato, ma non solo. Nella mitologia celtica, il cinghiale è simbolo del potere spirituale; nella tradizione induista, simboleggia uno dei cicli cosmici che prende il nome di “era del cinghiale bianco”. È un’età di grande sviluppo spirituale, che permette agli umani di raggiungere una profonda conoscenza e consapevolezza.
Una sfida
Un veloce confronto telefonico con Giulio ci trovò concordi: l’operazione era difficile e rischiosa, ma da tentare a ogni costo. Le sfide si raccolgono. E quale cantante? In pochi giorni emersero alcuni nomi e feci qualche telefonata. Uno dei problemi era chiedere la disponibilità per un buon numero di date non ancora fissate e potenzialmente incerte, ma il vero nodo era un altro: trovare un’interprete credibile.
La soluzione ideale è talvolta quella che appare meno ovvia. Perché non chiedere a Talèa? Un grande talento, reduce da X Factor 2022, dotata di una voce affascinante e versatile, disposta a mettersi in gioco e titolare di un album di esordio sorprendente (“Aura”) prodotto da Flavio Ferri, passato relativamente inosservato come troppi lavori contemporanei di pregio. La credibilità stava proprio nel fatto che Talèa non avesse avuto alcuna frequentazione precedente con il repertorio di Battiato. Una voce nuova, sfidata a donare una personalità originale a canzoni memorabili e quasi mai semplici. Una rivisitazione, quindi, non delle semplici cover. Giulio, allo stesso modo, non sarebbe stato a suo agio nel ruolo di semplice interprete: ha bisogno di rendere propria una canzone, prima di eseguirla.
Così iniziò un periodo densissimo di contatti, ipotesi, piani e discussioni. Sul versante musicale, iniziarono le orchestrazioni e le prove, in presenza nel caso di Giulio, a distanza per ragioni geografiche nel caso di Talèa. Dettaglio non trascurabile, era prevista una sola prova generale con l’orchestra ventiquattro ore prima del concerto di esordio a Cortina d’Ampezzo (BL), il primo di tre date consecutive.
Motori: accesi
La prova era stata fissata a Castelfranco Veneto il 23 novembre. C’era una tensione palpabile nell’aria, perché nessuno poteva prevedere come sarebbe andata. Dopo venti minuti passati ad ascoltare l’orchestra diretta da Walter Bertolo, autore degli arrangiamenti che con Giusto Pio ha lavorato più volte, ero certo che avessimo in mano qualcosa da presentare a testa alta. I due cantanti, come mi aspettavo, si erano preparati alla perfezione. Tutto andò più liscio del previsto: bastarono tre ore per provare un repertorio che ne durava due. L’unico vero punto di domanda, a quel punto, riguardava la reazione del pubblico. I concerti erano stati promossi capillarmente, anche se in un tempo molto breve, ma non sapevamo se qualcuno sarebbe venuto a vederci. Di certo non immaginavamo che avremmo fatto quasi ovunque il tutto esaurito.
Ho avuto la fortuna di seguire tutte le date tranne una, nel ruolo di tour manager / tuttofare. È il regno dell’improvvisazione: passavo dal ruolo di autista a quello di vivandiere, talvolta mi inventavo psicologo o consulente audio se serviva. E, naturalmente, fotografo. È bello, ma stancante, e bisogna essere pronti a imprevisti come uno sciopero dei treni, una nevicata, un ritardo qualsiasi. Basta poco per mettere in crisi una macchina che per funzionare deve far convergere quaranta persone nello stesso luogo al momento giusto.
Il mio quartier generale, che dopo un paio di giorni chiamavo “casa”, è stato l’hotel Alla Torre di Castelfranco Veneto: un gioiello incastonato nelle mura medievali che circondano il centro città, a pochi passi dall’enorme Piazza Giorgione dove si trovano bar e bistrot in cui rifugiarsi per staccare un po’ il cervello dai gioiosi stress di un tour. Talèa era alloggiata lì, mentre Giulio e gli orchestrali facevano i pendolari, vista la vicinanza geografica.
Una sera a Cortina
La prima del concerto andò in scena il 24 novembre nella splendida Alexander Hall di Cortina D’Ampezzo. Sala quasi piena, in ascolto, applausi sinceri. La differenza fondamentale tra una prova e uno spettacolo è la presenza del pubblico. La reazione delle persone è cruciale e nell’immediato ci apparve ottima, ma in retrospettiva dovremmo declassarla a “molto buona”. Il motivo è che non potevamo sapere cosa sarebbe accaduto con impressionante regolarità a partire dalla sera successiva.
Il 25 novembre toccò all’auditorium G. Comisso di Zero Branco (TV). L’esecuzione fu migliore della sera precedente, perché parecchia tensione si era sciolta. E lì, accadde: il pubblico impazzì. Si innescò uno schema che poi si sarebbe ripetuto regolarmente: un crescendo di entusiasmo che verso un terzo del concerto prendeva definitivamente piede fino a esplodere in una grande festa finale, con la gente in piedi a cantare, ballare e applaudire senza freni. Questo fa piacere: si chiama “successo dell’iniziativa” e fa tirare un sospiro di sollievo. Ma per come sono fatto, trovo più interessante indagare perché certe cose accadano. E magari metterle in relazione con il dubbio iniziale: le rivisitazioni di questo tipo hanno senso? Sono solo nostalgiche?
Non-nostalgia
Parto dal fondo. La risposta alla domanda sulla nostalgia è no, per quanto mi riguarda. In caso contrario, sarebbe nostalgica anche l’esecuzione di una sinfonia di Beethoven. La differenza, in questo caso, è che se si suona Beethoven, si esegue una partitura scritta da lui; se si suona Battiato, si esegue un arrangiamento nuovo, e si spera rispettoso dello spirito della canzone, ma inedito. Da questo punto di vista, credo che Walter Bertolo abbia svolto un lavoro egregio. Con perizia e mestiere, ma anche con notevole sensibilità. Il rischio, in questi casi, è quello di puntare a una semplicità mirata ad accattivarsi il pubblico, senza scavare a fondo nel brano originale che è in realtà il vero fulcro dell’operazione. Riprendere, per fare un esempio, un brano come “Centro di gravità permanente” e svilirlo con un arrangiamento ammiccante è tutto sommato semplice. E sì, può avere senso se si vuole conquistare il pubblico evidenziando il lato pop, o se preferite il lato “canzonetta”, di una composizione di notevole spessore. Un esempio, per certi versi uguale e contrario a quello di cui sto scrivendo, è l’operazione Rondò Veneziano, nata proprio negli anni in cui Battiato e Pio iniziarono a collaborare agli album pop del primo. In sostanza, si trattava di prendere il repertorio barocco e declinarlo in chiave moderna, avvicinandolo addirittura alla disco music. Un’operazione che può risultare gradevole all’ascolto, ma di fatto calcolata a tavolino e mirata a coprire un vuoto con qualcosa che suoni solo apparentemente diverso e nuovo. Idea geniale di marketing, ma non certo in senso musicale. Il successo dilagante dell’ensemble, soprattutto negli anni ’80, ne è la prova.
Sono sollevato e fiero di poter dire che l’effetto Rondò Veneziano è stato del tutto evitato. Quello che “L’Era Del Cinghiale Bianco” propone è un omaggio di alto livello che trasfigura i brani di Battiato e gli arrangiamenti di Pio, senza mai snaturare lo spirito originale delle canzoni. Il pubblico se n’è accorto: ascoltatori comuni e musicisti, senza alcuna esclusione. Abbiamo ricevuto una quantità enorme di messaggi tutti dello stesso segno, che si potrebbe riassumere nella parola “gratitudine”. Decine di grazie per lo spettacolo, per le emozioni, per avere rivisitato canzoni che, piaccia o no, fanno parte della cultura collettiva. Fa effetto stare a bordo sala e vedere qualche centinaio di persone cantare a memoria più di metà dei brani. Non solo quelli più famosi, ma anche alcuni meno scolpiti nel patrimonio comune della musica italiana. Soprattutto, fa effetto vedere persone di settant’anni cantare quelle canzoni insieme a persone di venti. Non so in quanti casi questo potrebbe accadere, ma non credo moltissimi.
Da qui in poi
Merito anche, in gran parte, della verve interpretativa di Giulio e Talèa. Perché, non va dimenticato, in ultima analisi si tratta di spettacolo: entertainment, come direbbero gli anglosassoni, intrattenimento. Questa parola in italiano ha assunto un significato vagamente leggero, frivolo. Ma l’intrattenimento è tutto fuorché frivolo: può essere leggero, ma ha la funzione fondamentale di farci riflettere su ciò che siamo, magari attraverso il riflesso di ciò che siamo stati. Ha la funzione di porci davanti allo specchio della nostra memoria, nel tentativo non facile di intravvedere un filo rosso che ci spieghi come siamo arrivati qui: the mess we’re in, il disastro in cui siamo, per dirla con David Sylvian.
Non è un caso che Giulio citi “l’umana brutalità” presentando una canzone. Né che insista sul fatto che avremmo tutti bisogno di un’epoca più bianca, più chiara di quella attuale. Il Cinghiale Bianco è una metafora, in fondo. Forse non è un caso neppure che a cavallo tra il 2017 e il 2018 girai l’Italia con una serie di incontri di parole e musica che coinvolgevano Gianni Maroccolo e Andrea Chimenti, con me nel ruolo di interlocutore, intitolati “L’Era Dell’Ippopotamo Bianco”. Era stata un’idea di Andrea, nata dalla considerazione che l’ippopotamo non è un pacioso animale che passa il suo tempo immerso nell’acqua a guardarsi intorno. È aggressivo, talvolta crudele. Come noi, insomma. Un titolo molto simile, con il significato opposto a quello che, nel 2023, abbiamo voluto trasformare in un augurio per questi tempi terribili.
Il 10 dicembre, praticamente due settimane dopo l’esordio, l’ultima data di questa tranche, presso il Centro Culturale Aldo Rossi di Borgoricco (PD). Non prima di essere passati a Villorba (TV, 26 novembre), Dueville (VI, 2 dicembre), Cartigliano (VI, 3 dicembre), Legnago (VR, 7 dicembre). L’intento è quello di proseguire, per il valore dell’operazione in sé, per il gradimento palese del pubblico, per il legame spontaneo che si è instaurato tra tutti i partecipanti. Una squadra ben oliata, senza “se” e senza “ma”, soprattutto senza personalismi e arrivismi. Che, immagino, ha suscitato qualche sorriso sornione e compiaciuto in Giusto Pio e Franco Battiato, che di certo sbirciavano attraverso le nuvole.