Europhonia
Entanglement
La storia è che ho rimaneggiato uno splendido brano di Ottodix, e vale la pena di raccontarla. Partirei con un video, tanto per capire di cosa parliamo. Poi, una narrazione.
Al primo ascolto
Alessandro Zannier, in arte Ottodix, è un artista che sfida le definizioni, in particolare quelle rigide. Musicista ma non solo, anzi molto di più: attivo nel campo dell’arte figurativa, pensatore accanito, quasi filosofo – oserei dire.
Ebbi la fortuna e l’onore di ascoltare “Entanglement”, il suo ultimo album, ben prima che fosse finito. Non era neppure del tutto completo: alcuni brani vennero registrati poco prima del mix finale, operato dalle mani esperte di Flavio Ferri a Barcellona. Le canzoni però c’erano tutte, e m’intrigavano non poco.
Il concetto alla base del lavoro è la connessione globale che coinvolge vari fenomeni e, in ultima analisi, le nostre stesse vite. La densità degli argomenti è elevata, l’approfondimento spesso verticale: evito quindi di ripetere ciò che è già stato dichiarato spesso in diverse recensioni e interviste rimandandovi, ad esempio, qui per ulteriori informazioni.
Quello di cui mi sta a cuore parlare, in questo caso, è un brano in particolare, intitolato “Europhonia”. Fin dal primo ascolto ho avuto la sensazione che fosse quello che più mi corrispondeva tra tutti, a livello musicale e narrativo. L’idea è semplice e geniale: il disfacimento di un rapporto di coppia viene narrato attraverso il crollo di valori e certezze del blocco continentale Europeo. Un mix di gelosie, ripicche, incomprensioni e sotterfugi.
Fin dal primo istante ho avuto il desiderio di realizzare una mia versione di quel brano, ma in una prima fase non ci pensai troppo seriamente.
Il problema delle cover
In generale, non amo le cover. Di recente ho dovuto suonarne alcune dal vivo per varie ragioni, e mi sono sentito decisamente a disagio. Allo stesso tempo, non ho alcuna remora a eseguire un brano di qualcun altro se sono io a sceglierlo: in quel caso lo faccio mio perché lo sento come tale. Non si tratta, di solito, di una versione imitativa, ma di una versione alternativa che cerca di iniettare qualcosa di mio nell’arrangiamento e nella sua interpretazione.
Il problema, quest’anno, non è stato tanto quello delle cover ma quello del COVID: l’emergenza ha schiantato diversi piani costruiti con immane fatica; tra questi, il tour promozionale di “Entanglement” che Ottodix aveva organizzato e nel quale stavo entrando per dare una mano laddove possibile. La prima data era prevista a Verona verso la metà di marzo, e credo sia superfluo dire che ha subito una fine infausta.
Il problema era cosa fare: album uscito, recensioni in arrivo (molte e quasi sempre ottime), probabilità di suonare zero. Senza peli sulla lingua, il modo migliore di mettere in crisi un progetto discografico. Nel giro di poche settimane, però, l’infaticabile Ottodix si è inventato “Live Home Serie”, una stringa di performance dal vivo “in quarantena” che coinvolgevano tutti gli strumentisti della sua band. Il video di “Europhonia” è già uscito come parte di questa serie, e lo si trova recensito qui. Gran parte dei brani dell’album sono stati pubblicati su varie testate web (l’operazione è ancora in corso), dando alle persone la possibilità di ascoltare gli arrangiamenti così come erano stati concepiti per lo spettacolo dal vivo.
Una domanda, una risposta
È assai probabile che lavorando al brano “Vola il corvo” di Lorenzo Del Pero ci abbia preso gusto: in quei giorni proposi a Ottodix di realizzare una versione alternativa di “Europhonia”. Ne fu sorpreso ed entusiasta, e in pochissimo tempo mi mandò le tracce di voce separate in modo che potessi ricostruire un arrangiamento attorno a esse.
Gli avevo preannunciato che mi sarei preso delle libertà. In particolare, avevo in mente di ridurre il brano a un formato più vicino a quello di una canzone standard: non perché fosse particolarmente strano, ma perché l’originale conteneva dei momenti strumentali di passaggio molto belli ma non strutturali. Pensavo che rendendo più nitida la struttura il messaggio del testo sarebbe passato ancora meglio. Non è esattamente semplice modificare la struttura di un brano: è una questione di rispetto per chi lo ha composto. Quando gli mandai la mia idea provvisoria, Ottodix la gradì – ma onestamente pensavo che mi avrebbe divorato. Mi è andata bene, diciamo così. Ero anche contento che Flavio Ferri, che l’aveva ascoltata in anteprima, l’avesse apprezzata.
Sequenze, pad, corde
Ho rispettato l’armonia della versione di Ottodix, ma nessuna delle parti originali è passata nel nuovo arrangiamento. Tutto ruota attorno a una sequenza realizzata con un synth modulare e a un giro di basso quadrato e solido. Per qualche ragione, se dovessi identificare il brano con una nazione Europea (di questo si parla, in fondo), la mia scelta cadrebbe istintivamente sulla Germania. Anche per questo motivo, il ritmo è senza fronzoli: 4/4 diritti e implacabili, con pochi momenti di sospensione. Un brano però raramente risulta interessante se è del tutto lineare: per questo molti accenti della chitarra ritmica (acustica ed elettrica) non cadono in battere. L’idea era anche quella di incastrare le parti così che due strumenti non si muovessero mai assieme, in modo da non disturbarsi e sovrapporsi.
A livello sonoro, mi sono imposto di utilizzare un solo synth per i pad, e la scelta è caduta sull’inarrivabile modulo Pigments prodotto da Arturia. Le sonorità scelte sono più sottili e complesse di quanto non appaia a un primo ascolto. Soprattutto, però, ho cercato di eseguire lasciare alle chitarre il compito di spostare l’equilibrio del brano verso il mondo della canzone, senza pensare a un genere specifico. Ci sono diverse chitarre elettriche, suonate in vari modi, mentre il grosso del tappeto armonico è sostenuto da una chitarra acustica.
Segnali nascosti
Ho nascosto, come di consueto, una serie di elementi nel brano e nel video. È una delle cose che amo fare quando arrangio o produco una canzone. Di solito, quando decido che un lavoro è finito, tutto ciò che ho fatto ha un significato preciso, perlomeno nella mia testa. Simbolico, direi. Tre simboli si traducono in domande non ovvie che scaturiscono dal brano e dal video: chissà che qualcuno non abbia voglia di provare a rispondere.
- Perché l’anello che tolgo all’inizio del video ricompare in un altro luogo a circa 3’10”?
- Perché nella parte finale del video (controcanto) indosso una banda nera attorno al dito?
- Quale brano dei Rolling Stones è stato ritmicamente cannibalizzato nel ritornello finale?
Voci
Ottodix ha deciso di cantare il brano ex-novo sulla mia base. La melodia è identica all’originale, ma alcune inflessioni e accenti seguono il mio arrangiamento più della traccia sulla quale ho lavorato. In fase di mix, quando ormai mi apprestavo a chiudere, ero insoddisfatto perché pensavo che il finale avrebbe potuto essere un po’ più lacerante. Provai un paio di soluzioni, ma non ero contento. A quel punto mi venne in mente che avrei potuto raddoppiare la voce più acuta pensandola in maniera un po’ più rock rispetto all’approccio di Ottodix. Microfono, cavo, e via. Quello cambiò la seconda parte del secondo ritornello in maniera soddisfacente, a mio modo di vedere. Mi diede anche la soddisfazione di cantare il verso “il minotauro nel tuo labirinto”, che è per me è molto simbolico ed uno dei migliori di tutto “Entanglement”, perlomeno per la mia sensibilità.
Curiosità
- La sequenza bassa che si sente all’inizio è stata la prima cosa che ho eseguito.
- Il basso è stato registrato utilizzando solo un clic e la traccia di voce, perché ritenevo fondamentale che la linea più grave di suono si accoppiasse bene con il cantato.
- Al momento di registrare la chitarra distorta, scoprii che il mio amplificatore Marshall aveva deciso di non funzionare. La soluzione fu amplificare la chitarra per mezzo del mio vecchio ampli per basso, alzare gli acuti al massimo e comprimere il suono come se non ci fosse un domani per dargli il massimo sustain possibile. In pratica, il suono fa schifo, ed è bellissimo così.
- Le ondate di archi impazziti che si sentono nella strofa nascono da un colpo di fortuna: provengono dal modulo Analog Strings (Output), che contiene diversi suoni perlomeno improbabili. Ne trovai per caso uno interessante, ma non abbastanza da giustificarne l’uso così come stava. Ci lavorai almeno mezz’ora per renderlo come lo immaginavo.
E infine
Posso solo essere grato a Ottodix per avermi permesso di “massacrare” la sua canzone. Trovo sempre interessante il manifestarsi delle differenze in due versioni dello stesso brano, purché queste siano sufficientemente pensate. Quindi… ecco il risultato, un tassello in un puzzle molto ampio, credo. Il materiale di “Entanglement” (e di tutta la produzione di Ottodix) non è né semplice, né banale, e la sua complessità impone una certa disciplina di lavoro. Spero di avergli reso giustizia… e che non sia l’ultima volta.
Grazie a tutti per l’attenzione!
MO