Giulio Casale – Inexorable: presentazione artistica
La prima cosa che ho scritto
Dunque. Vi sembrerà strano, ma la primissima cosa che ho faticosamente concepito e scritto è anche l’unica che non sono riuscita a pubblicare. Mi spiego. Quando Marco mi chiese di scrivere “qualche riga” su “Inexorable”, il nuovo album di Giulio Casale, era settembre, e tante cose erano diverse: io non mi sentivo minimamente all’altezza, moonmusic non era ancora stata concepita davvero e l’unico a credere alla bontà dell’impresa – inutile dirlo – era lui. Alla fine ne uscì questo pezzo, che è quello a cui sono più affezionata, anche a distanza di mesi. Lo proponiamo finalmente sul blog, cosa che non abbiamo potuto fare fino a oggi, perché la casa discografica ha annunciato l’uscita dell’album soltanto ieri.
Il disco (che è bellissimo, credetemi) uscirà l’11 gennaio 2019, ma ho avuto il privilegio di ascoltarlo in anteprima a partire da agosto. Ne ho scritto di getto e d’istinto, e Giulio ha utilizzato le mie parole come presentazione artistica del suo lavoro. La cosa mi rende orgogliosa e felice, e sono altrettanto felice di poterla condividere oggi con voi.
Ah, sembra che Marco per una volta non c’entri, ma non è così: mentre io scrivevo, lui sudava sull’artwork, che pure vi proponiamo.
Giulio Casale: Inexorable
Le cose cambiano, il tempo passa, a volte ritornano. E mentre mi aggiro nel Gran Casino che è la mia vita dell’ultimo periodo – voilà – mi cade tra le mani l’ultima fatica di Giulio Casale, con un titolo che soltanto a leggerlo sarebbe bastato a farmi scappare a gambe levate. Invece no: casualmente r-esisto, lo ascolto. E qui, tempo di arrivare sì e no al terzo brano, sfuma lentamente ogni presentimento profetico, perché un album con un titolo come Inexorable, che gran poco sembrerebbe lasciare all’immaginazione, si rivela un sorprendente intreccio di generi, immagini e ritratti.
Inexorable è il vento che Michel Houellebecq evoca in una delle sue poesie: un vento forte, in grado di scuotere il mondo e la staticità culturale che ci circonda.
Undici brani (più due bonus track nella versione in vinile) e nessun riempitivo – solo portate principali – ché di Tempo ne è passato dall’ultimo disco (Dalla parte del torto è del 2012), e le cose da dire non mancano, ma appaiono anzi necessarie.
Il Tempo, si diceva. Il grande sottinteso del titolo, lo stesso che scorre – sì, inesorabile – ma che Giulio attraversa con disinvoltura, sia quando guarda al passato (“ci siamo amati, noi, o era soltanto un video?”), sia quando getta occhiate sghembe al futuro (“quando me ne andrò… vivrò per sempre e ti racconterò cosa c’è in cielo”), rivelandosi nel contempo artista radicale e radicato nel Presente, consapevole del folle Zeitgeist di quest’epoca (un giorno storico). Tra fraintendimenti rabbiosi da social, premi alla persona meno rilevante dell’anno ed ebbri balli sulle macerie del mondo, il quadro generale è esattamente quello che vediamo ogni giorno dalla finestra.
Dal punto di vista compositivo, la matrice rimane quella della canzone cantautoriale, pur con qualche eccezione (scolorando Bice), ma l’arrangiamento spinge brani probabilmente concepiti con chitarra e voce verso ben altri lidi, in una commistione di generi che evoca sonorità post-rock schiettamente contemporanee.
Fra testi che sono poesie (soltanto un video), poesie un po’ incazzate (coscienza c) o ironiche invettive contemporanee (Roger trip advice) Giulio afferra la Parola, ci gioca e si prende gioco di noi, lasciandoci talvolta un vago senso di mancanza, come se ciò che ascoltiamo avesse bisogno di un appiglio materico, un grafema che disveli il segreto semantico – Passatemi il libretto, per favore. (“…distinguere pagliuzze e travi / dalle creme occhi e per mani / rimani.”)
L’ultimo titolo è resto io, uno spiraglio di ottimismo sul valore della propria individualità: perché se le cose cambiano, il tempo passa, a volte ritornano, è consolante scoprire che la coerenza di Giulio Casale non è mai andata via. G resta se stesso, Estremo.
Laura Piantoni